Friday, January 23, 2015

VITA DEI GIULIANI AMATI/3-Marco Travaglio-Il Fatto Q.-23 gennaio 2015*******

VITA DEI GIULIANI AMATI/3-Marco Travaglio-Il Fatto Q.-23 gennaio 2015
Il governo Craxi, nato nel 1983, tramonta nel 1987. In quel lustro Giuliano Amato è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e consigliere economico-giuridico del premier. E i risultati non si fanno attendere. Nel 1983 il debito pubblico è di 234. 181 milioni di euro. Nell’ 84 è già salito a 284. 825, nell’ 85 a 346. 005, nell’ 86 a 401. 498 e nell’ 87 a 460. 418. Raddoppiato nel giro di cinque anni. Siccome il talento va premiato, il Dottor Sottile viene promosso ministro del Tesoro nei governi Goria (di cui è pure vicepremier) e De Mita, dal 1987 all’ 89. E in quel biennio il debito pubblico galoppa a 522. 731 nel 1988 e a 589. 995 nel 1989. Un trionfo. Sotto la regìa del Dottor Sottile, De Mita è costretto alla più sanguinosa stangata mai vista in Italia fino ad allora: roba da 49 mila miliardi, per colmare il buco che lo stesso Amato ha contribuito a scavare fino al giorno prima. Nel 1989, con l’ascesa di Andreotti a Palazzo Chigi, Craxi richiama il suo Tigellino in via del Corso: vicesegretario vicario (un po ’ più vicesegretario dell’altro, Giulio Di Donato) e grande architetto della “Grande Riforma” costituzionale. Lui, nel maggio 1989, dalla tribuna del 45 ° congresso di Milano, quello sormontato dalla piramide del geometra Panseca fra “nani e ballerine” (copyright Formica), rilancia il suo vecchio pallino della Repubblica presidenziale, con il capo dello Stato eletto dal popolo. Un trono su misura per Bettino. Eterna fedeltà. Il potere di Amato nella pochette di Craxi è enorme e, inevitabilmente, suscita invidie e rancori fra i “compagni”. Qualcuno tenta di seminare zizzania fra i due, insinuando che l’agile Topolino amoreggi in segreto con Scalfari e il gruppo Espresso-Repubblica-DeBenedetti, che sta per incrociare le armi con il filocraxiano Berlusconi nella guerra di Segrate per il controllo della Mondadori. Il 27 luglio 1989 Amato prende carta e penna e, su carta intestata della Camera, scrive una lettera a Bettino per mettersi al suo servizio, giurargli eterna fedeltà e smentire le voci sul suo presunto flirt con Scalfari e quella che Craxi chiama “la nota lobby”. Ma anche per fargli sapere, allusivo come sempre, che il ruolo di vicesegretario gli va stretto e pensa a “cosa fare da grande”. “Caro Presidente, ti sono molto grato per la tua offerta rinnovata di collaborazione. Sarà al centro della riflessione su cosa dovrò fare da grande. Vorrei intanto pregarti di riflettere tu su una cosa, di cui mi giungono voci (imprecise, ma inevitabilmente tali quando ci sono dubbi e sospetti non affrontati apertamente e lasciati alla perfidia dei corridoi; è stato comunque De Michelis a parlarmene). Cancella l’idea che io sia legato al giro di ‘ Repubblica’. È infondato. Solo con i loro giornalisti economici, come con quelli degli altri, ho avuto rapporti da ministro del Tesoro. Per il resto, ti ho sempre detto tutto: sai che sono amico di Vittorio Meana ([ Vittorio Ripa di Meana, storico avvocato civilista del gruppo Espresso e consigliere di Carlo De Benedetti, dal caso Mondadori in giù, ndr ] che, grazie anche alla mia amicizia, è passato al voto socialista); sai che ho incrociato Scalfari a qualche rara cena, quasi sempre e cioè due o tre volte a casa di Elisa Olivetti. Non c’è altro. E chiunque capisce che Scalfari, dopo avermi bistrattato quando ero al Tesoro, ha ora usato disinvoltamente la mia uscita per criticare te. Pensa che anche Rodotà mi si è ridimostrato improvvisamente amico. Se le cose non fossero così, non avrei rinunciato a 48 milioni l’anno e una rubrica che mi piaceva su ‘ L’Espresso ’ dopo l’affare Malindi [ lo scoop di ‘ Repubblica ’ su Claudio Martelli fermato a Ma-lindi con qualche spinello in tasca, ndr ]. Non ho altro da dire su un problema inesistente. Ti auguro solo di avere dagli altri la lealtà assoluta che hai sempre avuto da me e che continuerai ad avere, insieme a una sicura amicizia, qualunque cosa io abbia a fare da grande. Tuo Giuliano”.
I l silenzio è d’o ro. Nel
1990 c’è di nuovo puzza
di mazzette, e tanto per
cambiare sono targate
Psi. Questa volta a Viareggio,
sull’appalto per la costruzione
della nuova Pretura: una stecca
di 270 milioni di lire in cerca
d’autore, cioè di destinatario.
L’unica certezza è che la maz-
zetta transita per le mani dei
socialisti locali per poi appro-
dare, almeno in parte, nelle
casse romane del Psi. I compa-
gni viareggini pensano bene di
scaricare la colpa sul morto: il
senatore ed ex sottosegretario
Paolo Barsacchi, scomparso
quattro anni prima, che non
c’entra nulla, ma non può
smentirli. Purtroppo per loro,
è sopravvissuta la vedova, An-
na Maria Gemignani, che non
ci sta e fa sapere che non ac-
cetterà che il caro estinto faccia
da capro espiatorio dei compa-
gni vivi. Insomma minaccia di
raccontare come sono andate
veramente le cose, con nomi e
cognomi. Il 21 settembre riceve
una chiamata: è Amato. Che,
non trovandola in casa, le la-
scia un messaggio sulla segre-
teria telefonica. Lei lo richiama
poco dopo e, intuendo il mo-
tivo della telefonata, aziona il
registratore. Infatti, per 11 mi-
nuti e 49 secondi, il vicesegre-
tario del Psi la esorta all’aurea
virtù del silenzio, con la sua in-
confondibile vocetta melliflua.
Amato: “Anna Maria, scusami,
ma stavo curandomi la discopatia,
ma vedo che questa situazione qui
si è arroventata”.
Gemignani: “Ti ascolto”.
A: “La mia impressione è che qui
rischiamo di andare incontro a una
frittata generale per avventatezze,
per linee difensive che lasciano
aperti un sacco di problemi dal tuo
punto di vista... Troverei giusto che
tu direttamente o indirettamente
entrassi in quel maledetto proces-
so e dicessi che quello che dicono di
tuo marito non è vero. Punto. Non è
vero. Ma senza andare a fare
un’operazione che va a fare quello
non è lui, ma è Caio, quello non è lui
ma è Sempronio. Hai capito che in-
tendo dire? Tu dici che tuo marito
in questa storia non c’entra. Que-
sto è legittimo. Ma a... a... a... a
Viareggio hanno creato questo cli-
ma vergognoso, è una reciproca
caccia alle streghe, io troverei mol-
to bello che tu da questa storia ti
tirassi fuori”.
G: “Giuliano, io voglio soltanto che
chi sa la verità la dica”.
A: “Ma vattelapesca chi la sa e
qual è. Tu hai capito chi ha fatto
q u a l co s a? ”.
G: “Io penso che tu l’abbia capito
anche te”.
A: “Ma per qualcuno forse dei lo-
cali sì, ma io non lo so, non lo so.
Ma vedi, noi ci muoviamo su cose
diverse. Questo non è un processo
contro Paolo, ma contro altri...”.
Quel “per qualcuno dei locali
forse sì” fa pensare che qual-
cosa, se non tutto, Amato lo
sappia. Ma quando viene chia-
mato a testimoniare dai giudi-
ci, che hanno ricevuto dalla ve-
dova Barsacchi il nastro con la
registrazione, giura di non sa-
pere nulla di nulla. Alla fine co-
munque la manovra col morto
(“Pretura d’oro, colpa dei mor-
ti”, titola La Nazione) fallisce,
grazie anche alla tenacia di An-
namaria, che ignora gli amore-
voli consigli di Amato. Il 13 di-
cembre 1990 i veri colpevoli
della tangente vengono con-
dannati, e sono tutti vivi: Bar-
sacchi viene scagionato e la sua
memoria riabilitata. Quando il
Fatto pubblicherà la telefonata,
con tanto di audio, Amato scri-
verà a Repubblica per minimiz-
zare: “Non avevo affatto invi-
tato la signora a non fare i nomi
di coloro che le risultavano col-
pevoli”, ma solo “a non fare i
nomi di persone su cui non
aveva alcun indizio di colpevo-
lezza, pur di salvaguardare la
memoria di suo marito. Il tri-
bunale ne prese atto e finì lì”.
Mica tanto. Nella sentenza, i
giudici del Tribunale di Pisa,
Alberto Bargagna, Carmelo
Solarino e Alberto De Palma,
parlano anche di Amato: la sua
telefonata alla vedova mirava a
scongiurare “una frittata, in-
tendendo per tale un capitom-
bolo complessivo del Partito
socialista”. E si domandano co-
me mai “nessuno di questi
eminenti uomini politici come
Giuliano Vassalli (all’epoca
ministro socialista della Giu-
stizia, ndr) e Amato stesso si
siano sentiti in dovere di veri-
ficare tra i documenti della se-
greteria del partito per quali
strade da Viareggio arrivarono
a Roma finanziamenti ricolle-
gabili alla tangente della Pretu-
ra di Viareggio”. Non vedo,
non sento, e comunque non
parlo.
Il Corazzier Sottile. Nel 1990 il
presidente Francesco Cossiga,
sentendosi attaccato dal pre-
mier Andreotti, dalla sua Dc
guidata da De Mita, dal Pds di
Occhetto e Violante e dal grup-
po Repubblica-Espresso, co-
mincia a esternare a tutto spia-
no, “picconando” i suoi nemici
veri o presunti. Craxi gli piazza
alle costole Giuliano Amato,
che diventa uno dei consigliori
più ascoltati del Quirinale. Il ri-
sultato è che il Psi è l’unico par-
tito, insieme al Msi di Gian-
franco Fini che pure lo difende,
a essere risparmiato dalla furia
cossighiana. Il Pds prepara la
richiesta di impeachment, spal-
leggiato da Eugenio Scalfari,
che chiede per il presidente ad-
dirittura la perizia psichiatrica.
Il 1° maggio 1991 Amato spara
a zero: “Il capo dello Stato è og-
getto di un’autentica campa-
gna che, a ondate successive,
persegue l’esplicito scopo di
destabilizzare le istituzioni”.
L’indomani il presidente dei
senatori Dc, Nicola Mancino,
risponde a muso duro sull’Uni-
tà: “Amato farebbe bene a fare
nomi e cognomi dei complot-
tatori. Per quanto ci riguarda
l’idea di una nostra comparte-
cipazione al complotto è sem-
plicemente ridicola”.
Il 3 maggio, sempre sull’Unità, è
Giorgio Napolitano a strapaz-
zare il Dottor Sottile: “C’è da
chiedersi a chi possa giovare il
sempre più ostentato schierar-
si del Psi come ‘partito del pre-
sidente’, contro tutti i supposti
protagonisti e complici di un
presunto complotto contro il
capo dello Stato... Cossiga è
purtroppo attivamente coin-
volto in una spirale di quoti-
diane polemiche, di difese e di
attacchi di carattere personale
e politico, fino alla sconcertan-
te e francamente inquietante
distribuzione di etichette e di
voti a giornali... Perché Amato
non confuta nel merito le tesi
di chiunque tra noi, come sa-
rebbe legittimo, anziché emet-
tere indistinte denunce, rife-
rendosi a una campagna con-
tro il capo dello Stato che sa-
rebbe stata promossa non si sa
bene da chi e per quali calcoli, e
di cui sarebbe partecipe il Pds?
Non ci si risponda con la facile
formula del ‘partito trasversa-
le’ ”. Amato, nella sua replica,
non evoca il partito trasversale,
ma – con ventuno anni di an-
ticipo – l’asse Napolita-
no-Mancino: “Ho parlato di
campagna, non di complotto.
Spiace dover constatare che
prima Mancino, poi Napolita-
no ritengano che si tratti della
stessa cosa”.
Vent’anni dopo, con Napolita-
no al Colle, Amato e Scalfari di-
venteranno i più fedeli coraz-
zieri del Quirinale. Amato ver-
rà nominato giudice costitu-
zionale e sia Re Giorgio sia
Scalfari lo candideranno come
successore al trono. Come pas-
sa, il tempo.

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