Tuesday, February 10, 2015

Il petrolio, l’impero e il falso paradosso*******



Re Abdullah: “Un uomo di straordinario carattere e coraggio”
Gli Stati Uniti pretendono di essere la patria, il faro, gli agenti e il quartier generale della moderna democrazia. Che strano, allora, vedere il presidente degli Stati Uniti Barack Obama reagire alla morte del monarca medievale dell’Arabia Saudita, Re Abdullah Bin Abdul-Aziz avvenuta due settimane fa, salutando la “visione” e il “coraggio” del despota. Obama ha chiesto a “Dio” di garantire pace [ad Abdullah] e ha reso onore all’impegno del despota per la sacra partnership tra gli Stati Uniti e il regno saudita.
febbraio 2015
La morte di Abdullah è stata seguita da visite di alto profilo al palazzo reale saudita a Riyadh da parte del Presidente e della First Lady. Sono stati inviati a porgere il loro omaggio al bruto reale deceduto: Il Segretario di stato Americano John Kerry, il Direttore della CIA John Brennan, il Generale statunitense Lloyd Austin (capo del Comando Centrale degli Stati Uniti per la regione,), il senatore degli Stati Uniti John McCain, e i principali rappresentanti Democratici alla Camera, Nancy Pelosi and Joe Crowley. Il Generale Martin Dempsey, Capo di stato maggiore, ha annunciato una ricerca e una gara di saggi in onore del re che Dempsey ha definito “un uomo di straordinario carattere e coraggio.” Un atto affascinante da parte di un altissimo ufficiale in una nazione che sostiene di essere nata facendo opposizione popolare alla monarchia assoluta e alla aristocrazia ereditaria.
Non importa la natura selvaggiamente autoritaria e profondamente reazionaria del regime saudita. “Se il totalitarismo significa qualcosa, ha notato sette anni fa il massimo esperto di Medio Oriente, Gilbert Achcar, “quello è totalitarismo là [in Arabia Saudita].” Come riferisce Sarah Flounders su Fight Back! News:
“L’Arabia Saudita è una dittatura brutale e assoluta. Il paese prende il nome dalla famiglia reale saudita che ha preso per sè la favolosa ricchezza di petrolio, e la considera un bene interamente posseduto dalla famiglia. Il loro controllo viene mantenuto per mezzo di una massiccia repressione organizzata dallo stato. Tutte le forme di dissenso politico e di organizzazione sociale, dai partiti politici ai sindacati, sono proibiti e punibili con la pena di morte.”
“Le esecuzioni per decapitazione nelle piazze pubbliche si tengono in media ogni 4 giorni. I reati capitali comprendono l’adulterio, l’omosessualità e l’opposizione politica al regime. Anche le lapidazioni pubbliche sono una forma comune di esecuzione. Altre punizioni comprendono cavare gli occhi, l’amputazione di arti, l’estrazione di denti, la paralisi chirurgica e la fustigazione in pubblico.”
I dipartimenti governativi sono trattati come territori feudali… I fondi personali e statali sono completamente mischiati. A tutti i membri della famigli sono garantiti astronomiche indennità mensili fin dalla nascita…il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà…Più di un milione e mezzo di donne immigrate lavorano in una sorta di schiavitù domestica [e]… E la Confederazione Sindacale Internazionale… riferisce livelli allarmanti di lavoro minorile, di discriminazione e di lavoro forzato… le donne non hanno diritto a un lavoro, ad avere proprietà o all’istruzione. Non possono uscire di casa a meno che siano coperte dalla testa ai piedi con una abaya lunga nera, e accompagnate da un membro maschile della famiglia.
I “dignitari” statunitensi uno dei quali (McCain) ha di recente definito i pacifisti “malviventi scellerati” per avere avuto la storica decenza di ricordare agli americani che l’ex Consigliere nazionale alla Sicurezza del presidente Richard Nixon e il Segretario di stato americano John Kerry è un criminale di guerra – è andato a Riyadh e mostrare che l’America “democratica” continuerà a svolgere il suo ruolo durato già 80 anni, di “Signore Protettore…del regime saudita, che a sua volta è un ’regno protetto’, come nella storia medievale” (Achcar).
Hugo Chavez: accantonamento e mancanza di rispetto
Obama e Washington nel marzo 2013 hanno avuto una reazione molto diversa rispetto alla morte di Hugo Chavez, il presidente del Venezuela, democraticamente eletto, che ha usato anche la straordinaria ricchezza di petrolio del suo paese per ridurre la povertà e la disuguaglianza nella sua nazione. Chavez ha ottenuto il rispetto e anche l’adorazione da gran parte della cittadinanza del paese, compresi in particolare i poveri, anche se ha offerto notevole tolleranza e libertà alle ricche elite che odiavano lui e la sua agenda ugualitaria.
Sicuramente, quindi, il presidente della più grande democrazia che si autoproclamata tale, gli Stati Uniti, hanno reagito alla morte di Chavez con parole si pietà e di rispetto che sono andate oltre la venerazione e la compassione che egli aveva espresso per la morte del re di una dittatura assolutista, arci repressiva e ultra reazionaria, giusto? A malapena. La Casa Bianca ha risposto con la seguente dichiarazione sprezzante e irrispettosa: “Mentre il Venezuela inizia un nuovo capitolo della sua storia, gli Stati Uniti rimangono impegnati in politiche che promuovono i principi democratici, le norme giuridiche e il rispetto dei diritti umani” – un impegno che si esprime, stranamente, nell’appoggio di lunga data alla dittatura saudita.
Fin dalla morte di Chavez e come prima, Washington ha aiutato a scatenare, finanziare e altrimenti far progredire in Venezuela l’instabilità sociale, economica e politica e la violenza . L’amministrazione Obama ha operato per minare il governo del successore di Chavez, il presidente venezuelano democraticamente eletto, Nicolas Maduro, che è deciso a proseguire le politiche populiste del suo predecessore. La Casa Bianca ha dato il consenso alle sanzioni economiche contro Maduro e altri altissimi funzionari venezuelani per punirli per aver presumibilmente violato i diritti civili di coloro che sono impegnati nelle proteste sostenute dagli Stati Uniti contro lo stato venezuelano.
Il problema nelle democrazie reali
Perché questo contrasto fortemente orwelliano tra la replica “democratica” degli Stati Uniti alla morte del monarca assoluto Re Abdullah e la loro precedente reazione alla morte del presidente democratico Chavez? Nel mondo reale, al di sotto della favola dottrinale per lungo tempo inventata dai propagandisti statunitensi, gli Stati Uniti sono un impero i cui decisori delle politiche apprezzano la democrazia all’estero soltanto quando e dove è utile alla loro ambizione di governare il mondo in accordo con gli interessi delle élite economiche statunitensi al potere.
Dal momento che nessuna maggioranza popolare in nessuna nazione estera vuole essere dominata e sfruttata dalle élite statunitensi, lo Zio Sam non per nulla amico della democrazia all’estero o nella sua “patria” (un termine magnificamente imperiale) sempre più indegnamente plutocratica. Come ha osservato una volta Noam Chomsky, il massimo storico e critico dell’imperialismo statunitense: “Ci siamo coerentemente opposti alla democrazia, se i suoi risultati non possono essere controllati. Il problema delle democrazie reali è che è probabile che cadano preda dell’eresia che i governi dovrebbero soddisfare le necessità della loro popolazione, invece che quelle degli investitori statunitensi.” E’ accaduto quindi che il succitato Kissinger abbia detto quello che segue riguardo alla presidenza cilena democraticamente eletta nel 1970, del moderato presidente socialista democratico Salvador Alllende: “Non vedo perché dobbiamo stare in disparte a guardare un paese che diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. I problemi sono troppo importanti perché si lasci che gli elettori cileni decidano da soli.”
Nixon e Kissinger hanno reagito all’elezione di Allende in Cile ordinando alla CIA e al Dipartimento di stato “di fare urlare l’economia [cilena].” L’idea era di provocare sociale che avrebbe creato un’apertura ai militari cileni appoggiati dagli Stati Uniti che gli avrebbe permesso di rovesciare l’indesiderato leader della sinistra – una parte standard delle strategie di Stati Uniti e CIA nell’ambito dell’America Latina e oltre. L’11 settembre 1973 (l’11 settembre dell’America Latina), Allende è stato ucciso in un colpo militare appoggiato dagli Stati Uniti che ha installato una dittatura di stile fascista che ha torturato, ucciso, fatto scomparire e costretto all’esilio diecine di migliaia di persone.
Il valore strategico
La democrazia reale e l’indipendenza sono considerate particolarmente indesiderabili dalle élite politiche statunitensi in nazioni che possiedono riserve di petrolio sui vasta scala. Il controllo delle riserve petrolifere planetarie è stata per lungo tempo riconosciuta dai pianificatori statunitensi come una necessità dell’impero. E’ accaduto quindi che nel 1945 il Dipartimento di stato americano abbia definito le insuperate riserve petrolifere dell’Arabia Saudita “una stupenda fonte di potere strategico, e uno dei più grandi valori materiali della storia.” Quel “valore” è stato per lungo tempo inteso dagli Stati Uniti come “una leva di ‘dominio unilaterale del mondo’”, dando, di fatto a chi li controlla potere di veto su altri stati industriali e allo stesso tempo “incanalando enorme ricchezza verso gli Stati Uniti in numerosi modi” (Chomsky).
Per più di 70 anni, oramai, il regno saudita che è posto sopra alle più vaste riserve petrolifere verificate del pianeta, si è quasi sempre adeguato agli obiettivi degli Stati Uniti. La completa proprietà formale saudita delle sue riserve petrolifere (ottenute da Riyadh all’inizio del 1980) nasconde la realtà: le compagnie petrolifere occidentali e statunitensi possiedono miliardi di dollari in investimenti e iniziative imprenditoriali congiunte che li collegano al grande valore che è il petrolio grezzo saudita. ExxonMobil, Chevron, and Conoco Phillips sono tutti giganteschi investitori in Arabia Saudita, con miliardi di dollari riversati nelle attività altamente redditizie di esplorazione, trivellazione, pompaggio, trasporto e la costruzione di oleodotti, di porti e di terminali. “Mentre la famiglia saudita può prendersi immense ricchezze per se stessa,” nota la Flounders, “la vasta maggioranza di questi fondi deve essere tenuta nelle banche statunitensi o essere usata per acquistare materiali statunitensi.”
Gli acquisti comprendono moltissimi materiali militari necessari per tenere assoggettatala sua popolazione e tenere a bada i suoi rivali nella regione – soprattutto l’Iran. Come aggiunge la Flounders, l’élite saudita “dipende da 5 basi militari statunitensi, dalle armi e dall’addestramento militare dell’Occidente per la sua protezione e sopravvivenza. La Quinta Flotta degli Stati Uniti, di base nel vicino Bahrein, difende lo status quo…In cambio, la famiglia reale saudita versa denaro per la protezione delle industrie militari statunitensi come Raytheon, Lockheed Martin, General Dynamics and Boeing. Miliardi vanno anche alle industrie militari britanniche, francesi e tedesche. La spesa dell’Arabia Saudita per le armi arriva al 9,3% del suo PIL, il rapporto più alto del mondo.” I sauditi comprendono anche che la loro protezione dipende dal rispetto per i desideri degli Stati Uniti riguardo al modo in cui gestiscono il “grande valore materiale” nel sottosuolo saudita.
Le cose sono diverse per la Big Oil e l’Empire Oli statunitensi, in Venezuela, patria delle seconde più vaste riserve petrolifere verificate. Otto anni fa Chavez aveva dato un ultimatum alle compagnie petrolifere: cedere il controllo delle loro operazioni venezuelane alla compagnia di proprietà statale Petroleos de Venezuela S.A. (PdVSA) o rischiare che i loro beni venissero confiscati. La ExxonMobil e la ConocoPhillips (al terzo posto tra le compagnie più valide produttrici di petrolio dopo la Exxon e la Chevron) hanno rifiutato i termini del Venezuela e se ne sono andate. Entrambe sostengono di aver perduto miliardi di dollari di beni confiscati e hanno cercato un indennizzo dai tribunali internazionali. La ExxonMobil e la ConocoPhillps hanno abbandonato il paese, riluttanti a correre il rischio di operare in una nazione i cui leader dichiaratamente socialisti privilegiano l’indipendenza nazionale e la riduzione della povertà interna, rispetto ai profitti degli investitori stranieri.
Nessuna delle due compagnie si è unita alla Chevron nel replicare in modo positivo agli sforzi fatti fin dal 2010 per attirare investimenti stranieri per aiutare a sviluppare i depositi di petrolio extra-pesante della nazione che si trovano nella Cintura dell’Orinoco settentrionale. Nel frattempo, la “Rivoluzione Bolivariana di Chavez e Maduro, in gran parte finanziata dalle entrate del PdVSA, [Petróleos de Venezuela, S.A.], ha tagliato i tassi di povertà dal 42% nel 1999 al 27% nel 2013 – una riduzione molto significativa. Il Venezuela ha anche usato la sua ricchezza e influenza per incoraggiare altre nazioni all’interno e oltre quelle latino-americane a seguire Cuba e il suo esempio, rifiutando e opponendosi al controllo degli Stati Uniti del loro sviluppo economico e politico.
Fare urlare il Venezuela
Ci sono delle interessanti connessioni tra la storia d’amore degli Stati Uniti con il Venezuela e l’opposizione del nostro paese al nazionalismo indipendente di sinistra e al populismo in America Latina. Durante gli anni’80, l’Arabia Saudita ha aperto i suoi conti bancari includendovi la contro insurrezione statunitense in America Centrale, impegnandosi per milioni di petrodollari nella guerra dei Contra coordinata dalla CIA contro il governo sandinista popolare rivoluzionario in Nicaragua. Attualmente, l’amministrazione Obama e i maggiori media statunitensi sono impegnati a in una campagna che si è inasprita contro il governo di Maduro e la popolazione venezuelana. Sono impegnati in quella che l’analista di sinistra Eva Golinger chiama “una guerra segreta contro un popolo il cui unico reato è di essere il guardiano della più grossa riserva petrolifera di oro nero del mondo.” Inondando il globo di petrolio statunitense [gli Stati Uniti sono riemersi come il paese massimo esportatore di petrolio, grazie alla sua rivoluzione che uccide l’ambiente basata sulle attività di fracking (fratturazione idraulica)] “di cui non ha bisogno” (Glenn Ford). Washington spera di fare “urlare” le economie del Venezuela e di altri paesi percepiti come rivali degli Stati Uniti in campo geopolitico ed economico – Russia e Iran- cosa intesa a causare un cambiamento di regime a Caracas e altrove.
Non importa che il governo venezuelano sia un governo eletto democraticamente e che operi in nome dei poveri della nazione e della maggioranza della classe operaia. Questo è proprio il problema che hanno in mente i pianificatori di Washington per i quali gli obiettivi petroliferi dell’impero e i calcoli di profitti globali superano qualsiasi preoccupazione per la vera democrazia in patria e all’estero. Per quanto riguarda l’Impero, i monarchi assoluti e le dittature brutalmente repressive, arci reazionarie, sono amati “amici dell’Occidente” e della “libertà” quando sono d’aiuto ai piani di dominio globale dello Zio Sam.
Il regime saudita sta collaborando con il progetto di tagliare il prezzo del petrolio globale che spera distruggerà il suo arci-nemico nella regione, l’Iran, e che punirà la Russia perché appoggia la Siria, nemica dell’Arabia Saudita. I sauditi stanno facendo la guerra per il prezzo del petrolio in collaborazione con gli Stati Uniti e contro i loro reciproci nemici Russia e Iran. Secondo gli Stati Uniti, le conseguenze negative per il Venezuela sono più che un danno collaterale fortuito. Fanno parte dell’opposizione di lunga data all’indipendenza nazionale e alla politica social-democratica populista in America Latina e altrove.
Paul Street è uno scrittore di Iowa City, Iowa. Il suo libro più recente è: Loro governano: la democrazia contrappostaall’1%.


Originale : TeleSUR 


No comments:

Post a Comment